17 Gennaio 2015
CRISI DEGLI ALLEVAMENTI

Dall’inizio della crisi sono scomparsi, in Italia, oltre 2 milioni di mucche, maiali, pecore e capre. E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme in occasione della festa di Sant'Antonio Abate, protettore degli animali e patrono di tutti gli allevatori. Dal 2008 stalle, pollai e ovili si sono svuotati, con una perdita di un milione di pecore, 800mila maiali e 250mila tra capi bovini e bufale. L’allevamento italiano è un comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35% dell’intera agricoltura nazionale con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale, visto che dà lavoro a 800mila persone. La chiusura delle stalle aumenta la dipendenza dall’estero, soprattutto per l’approvvigionamento di latte fresco. Ormai importiamo il 42% del latte che consumiamo ogni giorno. “La situazione nel Lazio è catastrofica. Il prezzo riconosciuto agli allevatori - denuncia Saverio Viola, direttore Coldiretti Latina e Frosinone – non copre neanche i costi di produzione e spinge verso la chiusura migliaia di allevamenti che a breve dovranno confrontarsi anche con la fine del regime delle quote, che terminerà il 31 marzo. In pochi mesi il prezzo di un litro di latte alla stalla è crollato da 44 a 38 centesimi, mentre però al banco continua a costare sempre 1 euro e 60 centesimi. Mentre nel Lazio le stalle chiudono, continuiamo a consumare il doppio del latte che produciamo. Da dove arriva dunque il latte che serve a coprire il fabbisogno regionale? Certamente non dagli allevamenti di Latina, né da quelli di Frosinone. Nonostante il silenzio delle istituzioni, Coldiretti prosegue la battaglia per il riconoscimento di un giusto prezzo ai produttori locali e soprattutto per ottenere, a beneficio dei consumatori, trasparenza in etichetta con tutte le indicazioni necessarie alla tracciabilità e alla provenienza del latte che ogni mattina viene consumato da milioni di famiglie. La mancanza di trasparenza nell’informazione ai consumatori favorisce la concorrenza sleale, con latte a basso prezzo importato dall’estero e venduto come locale. Attualmente, in Italia, non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza del latte a lunga conservazione in vendita e neanche l’origine del latte di mucca, pecora o capra impiegato nei formaggi. La mancanza di trasparenza in etichetta sulla reale origine danneggia il vero Made In Italy e compromette l’economia agricola della nostra regione. Discorso analogo per la carne suina. Da noi chiudono le porcilaie, ma al tempo stesso aumentano le importazioni di spalle e prosciutti che poi vengono lavorati sul territorio e venduti come locali. Il quadro è desolante. La sola, incoraggiante nota positiva è arrivata pochi giorni fa dal segretario generale di Assindustria che, intervenendo al convegno sulle agromafie, ha annunciato la volontà dell’industria della trasformazione agroalimentare di collaborare con Coldiretti per produrre e commercializzare solo prodotti autenticamente italiani e rigorosamente tracciati, per arginare le contraffazioni alimentari, premiare il lavoro e la serietà dei produttori locali e tutelare i consumatori. Ecco – conclude Viola – voglio augurarmi che le parole espresse dal dirigente di Assindustria non siano soltanto un’enunciazione di principio, ma che corrispondano ad una effettiva presa di coscienza della necessità di invertire la rotta, ribassando il prezzo del latte al consumo e riconoscendo agli allevatori un prezzo alla stalla finalmente adeguato a garantire un dignitoso reddito aziendale – visto che quello di oggi non basta nemmeno alla copertura dei costi di produzione. Solo così potremo evitare il rischio, ormai purtroppo imminente, della chiusura di centinaia di allevamenti tra Latina e Frosinone”. 
 
 

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